Editori e scrittori censurano un editore. Come nei veri regimi

Scritto il 03/12/2025
da Vittorio Macioce

Danno lezioni di libertà ma chiedono l'esclusione di chi non la pensa come loro perché di destra

Questi qui sarebbero capaci di stracciarsi le vesti anche davanti a Galeazzo Musolesi, il fiero alleaten di San Giovanni in Persiceto reso immortale dalle Sturmtruppen. No, non per ignoranza, perché forse Bonvi lo conoscono, ma per la banalità della petizione indignata. Il sospetto è che se fossero davvero antifascisti non ne farebbero una parodia. Lo spettacolo questa volta va in scena a «Più Libri Più Liberi», fiera della piccola e media editoria che si svolge a Roma nei primi giorni di dicembre. Gli «infami» sono quelli della casa editrice Passaggio al bosco, che già puzzano per il riferimento a Ernst Jünger, troppo aristocratico, troppo dandy, rivoluzionario conservatore, ma comunque capace di dire no al nazismo con Hitler al potere, e non è cosa da niente, ma se poi si va a vedere il loro catalogo ci sono senza dubbio autori del pensiero totalitario, collaborazionisti come Degrelle, e poi Evola e Codreanu e così via, con tutto il pensiero oscuro dei nemici della società aperta. Cose che non sopportano: la democrazia, i liberali, l'Occidente venduto al mercato e il capitalismo. Se li guardi un po' da lontano rischi di confonderli con i loro accusatori. Cosa è successo? Si sono alzati 80 probiviri più o meno di chiara fama e hanno gridato: allarmi son fascisti. «È proprio necessario ospitare editori di autori di chiara fede neo nazista?». Se lo chiede primo fra tutti Emanuele Fiano, che ha dimenticato le ingiurie subite dai Pro Pal, e a seguire le firme di scrittori, cantanti, attori, intellettuali sparsi e perfino editori. Non si possono citare tutti, ma qualcuno sì: Claudio Santamaria, Vittorio Sermonti, Diego Bianchi (Zoro), Anna Foa, Alessandro Barbero, Antonio Scurati, Zerocalcare, Domenico Starnone, Carlo Ginzburg, Domenico Procacci, Loredana Lipperini, Christian Raimo, Caparezza, Valerio Renzi, Massimo Giannini, Daria Bignardi. Sono i più rinomati partigiani senza montagna, antifascisti senza regime, sempre in direzione ostinata e corrente. Poi ci sono le case editrici: Fandango, Momo, Bao, Tlon, Add, Hacca, Red Star, Fondazione Feltrinelli, Alegre, Altraeconomia, Futura, Tamu, Coconino e purtroppo 66thand2nd e Minimum Fax.

L'idea che un manipolo di editori chieda la censura di libri, qualsiasi libro, è il segnale dei tempi che stiamo vivendo, dove si spaccia per cura quella che resta una forma di intolleranza. Non è con i roghi metaforici che si tutela la libertà. La carta dei diritti universali dell'umanità non dice da nessuna parte che la libertà di espressione del pensiero sia limitata ai pensieri buoni, sani, decenti, rispettabili, costituzionali, inoffensivi. Ci sono anche i pensieri cattivi, quelli che non ti piacerebbe leggere o sentire. Il motivo è semplice e profondo, perché oggi mi metti fuorilegge gli scritti fascisti o nazisti e domani quelli che non ti stanno bene, scomodi, scandalosi. È il motivo per cui i padri della liberaldemocrazia sono stati sempre lontani dalla tentazione del pensiero etico. I libri messi all'indice lasciamoli ai sacerdoti della verità assoluta, quelli che in nome di una fede superiore scatenano anatemi. Vade retro Passaggio al bosco. Chi decide l'indegnità di un libro? Questa confraternita di scrittori a quanto pare si sente legittimata da una legge superiore a cacciare gli «infami». Meno libri Meno Liberi. È questo il messaggio che arriva adesso da Scurati e Barbero. Delusione. Si sono rivolti all'associazione italiana editori con la stessa cecità di Jorge da Burgos, il monaco più vecchio nel Nome della rosa. «Verba vana aut risui apta non loqui». Non vale dire che il libro vietato nella biblioteca del monastero sia di Aristotele e questi invece sono nazisti. Vi sembrerà strano ma il principio non cambia.

Nessuno degli ottanta avrà incrociato il pensiero di James Madison, padre dei «dieci emendamenti» della Costituzione americana. Sarebbe bello chiederlo a Martina Testa, da stimare per le sue traduzioni dei grandi romanzi americani, ma che su questa storia ci ha messo la firma. Ti ricordi il primo emendamento della costituzione americana? Non è lì per proteggere i discorsi comodi, ma quelli fastidiosi, da qualsiasi parte provengano. È il principio che obbliga il potere, e i benpensanti, a sopportare il rumore di fondo della società. È un paradosso affascinante e faticoso: difendere la libertà di dire cose sciocche e perfino orrende perché se cominci a censurare le parole cattive prima o poi censuri anche quelle d'amore. Ma voi firmate, firmate sempre, con la scusa che quando tornate a casa vi sentite più buoni: di fare del male, esattamente come i vostri presunti nemici.